Claudia Vitale: Deva Wolfram, Lo sguardo creativo e sinestetico

CLaudia Vitale, Deva Wolfram, lo sguardo creativo e sinesteticoclau.text asfoldeloClaudia Vitale, L’asfodelo 4.2009

“Arte e scienza in dialogo: Goethe e La Specola nel dibattito estetico di fine Settecento”

16.10.2008

Il mio contributo qui oggi vuole fare solo accenno a un argomento molto vasto ed estremamente complesso che riguarda Goethe e le scienze e vuole soprattutto mettere in risalto l’attualità delle considerazioni goethiane, del metodo da lui adottato nelle scienze e di quale valore estetico-artistico abbiano i termini da lui coniati in campo scientifico: “Gestalt”- “forma”, “Metamorphose”- Metamorfosi, “Bildung”- formazione. Attraverso questi miei brevi accenni e riflessioni intendo mettere in luce l’analogia fra gli studi goethiani e il metodo sinestetico adottato da Deva Wolfram – non a caso grande studiosa di Goethe – in una sede così prestigiosa, quale quella del Museo de La Specola, che è tanto più significativa in quanto luogo di scienza in cui nacquero i primi studi anatomici, quelli sulla figura umana, sul corpo e più in generale sulla “forma” da intendersi qui stasera in senso sia scientifico sia estetico.

La seconda metà del Settecento rappresenta una svolta negli studi di antropologia e di estetica. L’essere umano diviene oggetto di ricerca scientifica e artistica al contempo. In Germania l’opera di Winckelmann prima e quella di Herder poi, rivalutano il significato della “Plastik” intesa come  “figura” e come “forma” nel segno del bello. L’anatomia e la scultura in particolare catalizzano l’attenzione di studiosi e di artisti. Intorno al 1770 è la Firenze del granduca Pietro Leopoldo, a farsi capitale degli studi scientifici, centro culturale della cosiddetta “anatomia plastica” e polo di attrazione per molti viaggiatori stranieri, quali per esempio il chirurgo inglese John Bell e il medico di Brema Engelbert Wichelhausen che hanno lasciato significative testimonianze della loro visita al museo.

Nel 1775 viene aperto l’Imperiale Museo di Fisica e Storia Naturale sotto la direzione di Felice Fontana che, a partire dal 1780, prenderà il nome de La Specola, dove esporranno noti anatomisti e costruttori di figure in cera quali Clemente Susini e Paolo Mascagni. Il Museo de La Specola rappresenta dunque al meglio questo dialogo fra arte e scienza che caratterizza la fine del Settecento: l’anatomia plastica si fa anello di congiunzione fra la medicina, la filosofia dell’arte e l’artigianato artistico alla ricerca dei “limiti del bello” e della “bella forma”.

J.W.Goethe, colui che nei suoi diari cita proprio Firenze quale sede degli studi più antichi e più approfonditi nell’ambito dell’anatomia plastica, può essere considerato il maggior rappresentante del dibattito estetico-filosofico di questo periodo storico in Germania. Gli studi anatomici che erano stati un tratto essenziale dell’interesse artistico del Rinascimento (si pensi solo a Leonardo e a Michelangelo) età in cui la medicina e l’arte si incontravano, erano anche da considerarsi un tratto peculiare italiano. I primi “teatri anatomici” furono italiani appunto, il primo, quello di Padova risaliva al 1523 e di esso Goethe era perfettamente a conoscenza. Il suo romanzo “Gli anni di pellegrinaggio di Guglielmo Meister” (“Wilhelm Meisters Wanderjahre”) del 1812 fanno dell’anatomia plastica il motivo conduttore della “formazione” di Wilhelm che alla fine diventerà medico.

È proprio il termine “formazione” – da intendersi secondo l’intraducibile e complesso concetto tedesco “Bildung”-  a rappresentare la parola-chiave dell’estetica goethiana e del dibattito estetico stesso e che stasera mi preme mettere in luce.

Goethe non si limita a studiare la “forma” sotto il segno dell’anatomia e della medicina ma amplia il concetto inglobandovi i suoi studi morfologici sulla pianta e sulle pietre per arrivare a definire la forma in termini di trasformazione vitale, “una forma/impronta essenziale che si sviluppa vivendo” (“geprägte Form, die lebend sich entwickelt” – Significativo che nel creare il termine, intraducibile in italiano, “geprägt”, Goethe si sia rifatto al conio della moneta degli antichi come ad indicare un marchio impresso nell’essere).

Il termine “forma”, che in tedesco viene reso anche con “Gestalt” è termine utilizzato continuamente da Goethe sia negli scritti estetici sia scientifici. Per “Gestalt” egli intende la “complessità dell’essere vivente”. Tutte le creature organiche (organische Gestalten) sono caratterizzate secondo Goethe da un moto incessante, da una tendenza all’apertura, da una tensione allo sviluppo, che egli chiama appunto “Bildung” o anche “Bildungstrieb” (impulso allo sviluppo) e che, significativamente, egli affianca alla “Bildungskraft”, ossia all’energia creativa simile a quella dell’artista. Ogni forma vivente è dunque una creatura dinamica e perciò l’operazione cui sono chiamate sia la natura sia l’arte è “infinita” perché tesa a cogliere lo sviluppo di per se stesso e la reciproca influenza delle creature viventi.

Secondo Goethe ciò che circonda l’essere umano non ha un effetto solo su di esso ma di riflesso anche su se stesso e, nel momento in cui si lascia modificare, compie delle modifiche anche tutto intorno a sé. La natura dunque forma e plasma l’essere umano nel momento in cui essa stessa si plasma. Si tratta di una “Umbildung” cioè di una reciproca influenza che pone l’attenzione sul fatto che ogni essere, pur nella sua individualità, agisce su un altro essere in maniera naturale. Questo tipo di continua influenza e corrispondenza è sempre presente fra l’essere umano e la natura, fra l’essere umano e la storia, fra il suo mondo interiore e il suo mondo esterno.

Goethe può essere dunque considerato anche un filosofo della natura vivente, così come Schelling prima di lui, ma è stato prima di tutto uno studioso del fenomeno: secondo lui il fenomeno è una conseguenza senza motivo, un effetto senza la causa e perciò indefinibile e solo descrivibile in maniera pragmatica.

Il metodo scientifico adottato da Goethe – da molti studiosi ancora oggi disprezzato o considerato marginale (non dimentichiamo che tutta l’opera artistica di Goethe non esisterebbe senza gli scritti scientifici a cui ha dedicato più di 20 anni) è quello dell’osservazione e dell’esperimento – Goethe, Augenmensch, che ha prima di tutto utilizzato la vista nei suoi studi- ci mostra così come fa l’artista –  le cose da un’altra prospettiva:  con costanza egli osserva i fenomeni e ne trae una legge empirica ma, se accade qualcosa che contraddice tale legge, va a cercare un altro punto più alto dell’osservazione ed è proprio questo punto che, secondo lui, rappresenta la vera elevazione dello spirito perché coglie la varietà dell’esistenza.

L’essere umano impara quindi solo laddove prende atto della complessità del reale, del suo incessante sviluppo, della sua metamorfosi che Goethe definisce appunto come “la chiave per decifrare tutti i segni della natura”,

Non è casuale che Goethe approfondisca i suoi studi sul corpo umano, sulla forma e sulla “Bildung” proprio in Italia anche a contatto con i pittori tedesco-romani, Tischbein, Meyer, Angelika Kaufmann e che subito dopo il suo ritorno a Weimar si concentri sulla “Metamorfosi delle piante”. Goethe guarda dunque all’essere quale forma vitale colta nel suo sviluppo, simile alla pianta, animata dalla sistole e dalla diastole del respiro, figura nel suo complesso in cui arte e scienza si completano; egli guarda all’essere quale creatura estetica.

È questo lo stesso sguardo che caratterizza tutta l’opera di Deva Wolfram, uno sguardo basato sulla sinergia degli elementi, sullo sviluppo dell’essere in rapporto a ciò che lo circonda, sull’osservazione del fenomeno nella sua complessità e varietà, che sfugge  a qualsiasi definizione che voglia dirsi univoca e sistematica, uno sguardo creativo appunto, grazie al quale esiste empatia e apertura fra gli esseri che vivendo si influenzano vicendevolmente. È anche uno sguardo amorevole che permette alle creature di entrare in contatto, di scoprirsi simili pur nella loro diversità proprio come i due giovani amanti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio Piramo e Tisbe protagonisti dell’omonimo quadro che, sebbene divisi dal muro dei loro giardini, comunicano grazie a un ramoscello di gelso, l’albero sotto al quale potevano incontrarsi di nascosto contro il volere delle loro famiglie. È uno sguardo che tende alla conciliazione fra le arti, anche fra le lettere dell’alfabeto e i colori come nei pittogrammi di Augustinus Kircher ripresi da Deva Wolfram e uno sguardo che, in ultima analisi, tende all’armonia, quest’ultima parola chiave anche della stessa estetica goethiana, come si legge nell’introduzione ai “Propylaeen”: “armonia significa fare esperienza del pensare in comunione e dell’influenzarsi vicendevole”, è lo sguardo dal basso verso l’alto del giovane Werther che osservando lo stelo dell’erba mette in connessione microcosmo e macrocosmo, mette in relazione natura, emozione ed essere vivente: lettera del 10 maggio!

Claudia Vitale